L'opinione
Postato da Vincenzo Pascuzzi
Venerdì 03 Febbraio 2012 09:23
Su Aetnascuola
E’ vero, però, in un Paese normale un concorso pubblico è organizzato con procedure che non lasciano nulla al caso e dove l’improvvisazione non è di casa. In un Paese normale quando si scelgono decine di esperti per formulare test destinati ad un importante concorso pubblico, si formalizzano e si ufficializzano verbali da cui evincere i criteri e i modi adottati per la scelta fatta.
In un Paese normale….
Massimo Spinelli, presidente regionale ANP Lombardia, comincia un suo recente articolo dicendo che in un paese normale si entra nella pubblica amministrazione attraverso la procedura del concorso pubblico e non attraverso i decreti e le sentenze dei giudici amministrativi o del Consiglio di Stato. E’ vero, però, in un Paese normale un concorso pubblico è organizzato con procedure che non lasciano nulla al caso e dove l’improvvisazione non è di casa. In un Paese normale quando si scelgono decine di esperti per formulare test destinati ad un importante concorso pubblico, si formalizzano e si ufficializzano verbali da cui evincere i criteri e i modi adottati per la scelta fatta. In un Paese normale gli esperti designati a formulare domande a risposta multipla non dovrebbero commettere un errore ogni cinque domande confezionate. In un Paese normale i bandi concorsuali dovrebbero rispettare le direttive europee in vigore. In un Paese normale non dovrebbero esserci querele come l’episodio di Caserta, dove si denuncia che si sono pagati migliaia di euro per partecipare a corsi preparatori di dubbia finalità. In un Paese normale non dovrebbero esistere problemi concorsuali legati a fughe di notizie relativi ai test proposti . In un Paese normale non si dovrebbero fare ricorsi contemporanei al TAR del Lazio e ad altri TAR periferici, per ottenere facili scorciatoie concorsuali. In un Paese normale non dovrebbero esserci giornalisti di fama nazionale a proteggere, con i loro scritti, diritti acquisiti contrastanti con le ordinanze del Consiglio di Stato. In un Paese normale non dovrebbero esserci politici di livello nazionale, che attraverso loro leggi hanno caratterizzato precedenti concorsi, come partecipanti ad un successivo concorso della stessa tipologia. In un Paese normale si dovrebbe avere più rispetto verso il pensiero altrui. Aldo Domenico Ficara , redattore di AetnaNet, conclude il suo articolo dicendo, forse non siamo in un Paese normale.
Aldo Domenico Ficara
aldodomenicoficara@alice.it
http://www.aetnanet.org/catania-scuola-notizie-247514.html
+++++
Un concorso e tanti avvoltoi
Editoriale di Massimo Spinelli - gennaio 2012
Avremmo volentieri fatto a meno di scrivere questo editoriale, ma vi siamo stati trascinati per i capelli dall’incalzare degli eventi e dal rincorrersi di polemiche e proteste che, pur provenendo da fronti diversi, sono accomunate dallo stesso obiettivo: bloccare la procedura concorsuale per il reclutamento di 2386 dirigenti scolastici. In queste situazioni è bene che ognuno si assuma le proprie responsabilità pubblicamente, in modo che tutti i soggetti coinvolti a vario titolo, in primis gli idonei, titolari dell’interesse legittimo a proseguire una procedura che li ha visti superare una prova preselettiva di accesso alle prove concorsuali, abbiano la possibilità di valutare e di giudicare.
In un paese normale si entra nella pubblica amministrazione attraverso la procedura del concorso pubblico e non attraverso i decreti e le sentenze dei giudici amministrativi o del Consiglio di Stato. Un vezzo, questo, tutto italiano, amaramente collaudato nelle due precedenti tornate concorsuali del 2004 e del 2007, allorquando le due procedure allora adottate, a causa delle loro contraddizioni intrinseche, permisero a candidati privi del minimo requisito di partecipazione alle prove di accedere alla funzione dirigenziale attraverso il combinato disposto di un regolamento colabrodo e di leggine ad hoc, buone a sanare tutte le situazioni. Si tratta di vicende incresciose, a volte indecorose, che ci siamo trascinati dietro per anni, compreso il finale con annesso “congelamento” e successivo “scongelamento” dei colleghi siciliani, trattati alla stregua di surgelati.
Quando nel 2007 il MIUR ha messo mano alla riforma del regolamento per il reclutamento dei dirigenti delle istituzioni scolastiche era chiaro per tutti, amministrazione e organizzazioni sindacali dell’area V, che non si sarebbe più dovuto permettere che si ripetessero gli errori e gli orrori del passato. A tal fine ci si è preoccupati di eliminare dalla procedura tutte le occasioni di contenzioso e gli spazi per valutazioni discrezionali:
■esiste una sola modalità concorsuale di accesso alla dirigenza, quella ordinaria;
■la valutazione dei titoli, uno degli elementi più critici, è stata spostata dalla fase di accesso a quella di valutazione terminale (dopo che i candidati abbiano quindi dato prova delle loro competenze nella preselezione, nei due scritti e nel colloquio);
■la fase di accesso è stata affidata ad una prova preselettiva, sull’esempio dei più avanzati modelli europei e di prassi già sperimentate in altri settori della pubblica amministrazione;
■è stato eliminato l’incremento del 10% degli idonei rispetto ai posti messi a concorso;
■la seconda prova scritta è stata opportunamente tarata su un’analisi di caso gestionale, anziché su una generica ipotesi progettuale;
■sono state eliminate le code a scorrimento degli idonei non rientranti nel numero dei posti messi a concorso;
■è stata definita la cadenza triennale dei concorsi, pur subordinandola all’autorizzazione da parte del MEF.
Si poteva sperare che novità di questo rilievo potessero costituire un’adeguata garanzia al corretto svolgimento di un concorso invocato da tutti; ma evidentemente non si erano fatti i conti con le numerose categorie di “benaltristi” in servizio permanente effettivo (assieme ai loro studi legali), che prima ancora che si avviasse la fase preselettiva sono entrati in azione contestando il regolamento (non ancora sperimentato) nei suoi fondamenti, a partire dal possesso dei cinque anni effettivi di ruolo nella funzione docente ( benché ridotti rispetto ai sette anni richiesti dai precedenti regolamenti) e a seguire con le modalità selettive, a partire dalla prova di accesso.
Lo svolgimento della prova preselettiva ha ulteriormente scatenato reazioni ferine e implementato ricorsi giurisdizionali di massa, dove l’interesse legittimo a denunciare vizi procedurali o formali verificatisi nel corso della prova si è miscelata con la scelta del ricorso per il ricorso, nella convinzione che un’ammissione con riserva non si nega a nessuno (almeno così va di solito nel nostro bel paese!) e che non mancano parlamentari pronti a sostenere l’ennesima sanatoria, da infilare non appena possibile di soppiatto nel primo decreto “mille proroghe” di passaggio.
È bene precisare che il MIUR in occasione della prova preselettiva, della sua predisposizione e del suo svolgimento non ha dato dimostrazione di particolare efficienza, tutt’altro. In un paese normale un test preselettivo si svolge davanti ad un terminale, si schiaccia un tasto per individuare la risposta esatta, al termine della prova si ha in diretta l’esito della stessa. Da noi si è optato per la modalità Gutemberg, cioè per la pubblicazione di un ponderoso tomo non perfettamente impaginato e di non facile consultazione. La prova si è svolta dunque in condizioni non particolarmente agevoli, ha richiesto sicuramente un supplemento di attenzione e di impegno da parte dei candidati, ma sta di fatto che in condizioni di pari difficoltà alcuni hanno superato la prova e altri no. Ovviamente molti Soloni si sono esercitati nello spiegare al volgo che “ben altro” doveva essere il meccanismo di selezione in ingresso, che non è un test che può misurare la competenza professionale delle persone e ci sono tornate alla mente le vecchie diatribe degli ani ’70 e ’80 sulla valutazione soggettiva e oggettiva ed abbiamo capito, con profondo rammarico, che siamo ancora fermi al secolo scorso.
La parola ovviamente è passata agli studi legali (fortuna che c’è la scuola, le graduatorie e i concorsi!) e ai tribunali amministrativi, con tutto ciò che ne è conseguito in termini di confusione, di decisioni contraddittorie, di ricorsi al Consiglio di Stato. Quando è stato chiaro che la mole dei ricorsi non rappresentava le istanze di chi riteneva di essere stato leso in un interesse legittimo, ma il tentativo di intorbidare le acque e di far passare ancora una volta la logica del “tutti ammessi con riserva” sotto il ricatto di bloccare e annullare per via giudiziaria il concorso, ci si è trovati di fronte al bivio: o subire o reagire. L’ANP ha scelto la seconda strada, non certo per convenienza come ci hanno fatto notare alcuni nostri iscritti risultati non idonei, ma per non apparire conniventi con logiche sindacali perverse e con un sistema istituzionale malato. Il nostro ricorso ad opponendum aveva questo significato: dire no ai soliti pateracchi, dove non vige il principio normativo ma la convenienza, l’accomodamento, la mediazione al ribasso, il grigio che si sostituisce al bianco e al nero, la scappatoia legale che nella culla del diritto rende legittima l’illegittimità.
Anche questa nostra scelta, rischiosa ma responsabile, ha dato la stura a chiassose e scomposte reazioni, ma non abbiamo deflettuto di un millimetro. Un’adesione in massa al ricorso ad opponendum avrebbe reso più efficace la nostra azione, ma il numero delle adesioni raccolte tra i candidati idonei in tutta Italia ci ha consentito comunque di partecipare alle convocazioni dei TAR (così sarà anche per la prossima convocazione presso il TAR Lombardia) e di rappresentare i diritti di chi è risultato idoneo, il concorso vuole portarlo avanti ed ha buone probabilità di vincerlo. Vedremo come andrà a finire, ma in ogni caso resteremo convinti delle nostre scelte e saremo pronti a ribadirle e a riproporle, senza tema di essere valutati e giudicati.
Ma i tentativi di ostacolare la procedura concorsuale non si sono fermati al livello delle controversie giudiziarie, per altro particolarmente insidiose. C’è stato da ridire sulla composizione delle commissioni di concorso, passate ai raggi x delle provenienze territoriali e delle estrazioni professionali, al punto che la Presidente della Commissione istituita dall’USR Lombardia ha ritenuto preferibile restituire l’incarico al Direttore regionale pur di non alimentare le polemiche e mettere a rischio il concorso. Anche in questo caso non si è avuto alcun ritegno nell’imbastire un giudizio sommario e pregiudiziale circa l’adeguatezza della persona a svolgere l’incarico e nel richiedere un passo indietro, in assenza del quale era prevedibile una nuova messe di ricorsi e di contenziosi.
Come se non bastasse abbiamo dovuto assistere sgomenti, da ultimo, anche all’incredibile ennesima contestazione circa la collocazione della Commissione di concorso all’interno degli uffici dell’USR, come se questo fosse un elemento che potesse influenzare l’operato dei commissari. Quando si raggiungono questi limiti vuol dire che si è superata la soglia del buon senso e occorre che qualcuno si assuma l’onere di richiamare tutti gli attori della vicenda ad una chiara assunzione di responsabilità.
C’è un interesse generale che va salvaguardato: fare in modo che la procedura concorsuale si svolga nella massima regolarità, affinché al primo di settembre i 335 vincitori del concorso possano assumere servizio nelle scuole della Lombardia. Nella ripartizione dei posti messi a concorso la nostra regione è già risultata penalizzata, dal momento che già oggi il numero delle reggenze assegnato è vicino a quota 410. Se la procedura concorsuale dovesse essere bloccata o anche solo rallentata il sistema scolastico regionale, già oggi messo a dura prova, probabilmente collasserebbe di fronte a circa 550 scuole prive del dirigente titolare. A questi problemi si aggiunge il prossimo intervento di dimensionamento della rete scolastica che affiderà in reggenza in modo automatico tutti gli istituti sotto i 600 alunni (400 nei comuni di montagna).
Chi ha a cuore i problemi della scuola dovrebbe rendersi conto di questa situazione e valutare alla luce di questa prospettiva l’azione dei tanti avvoltoi che continuano a svolazzare sul concorso a dirigente scolastico. Noi dell’ANP ce ne siamo resi conto fin dall’inizio e staremo in campo perché gli avvoltoi non l’abbiano vinta. Ci fidiamo dell’operato della Commissione, perché contiamo sulla professionalità e il senso istituzionale dei suoi componenti e dei dirigenti scolastici che ne fanno parte, non abbiamo alcun motivo per dubitare della loro correttezza, non nutriamo alcun pregiudizio né alcun sospetto e saremmo disposti a cambiare atteggiamento soltanto di fronte a fatti oggettivi dimostrati. Condividiamo la scelta di collocare la Commissione all’interno degli uffici dell’USR perché la soluzione istituzionale ci sembra la più opportuna e qualunque altra collocazione avrebbe richiesto l’adozione di particolari sistemi di protezione. Condividiamo la scelta della Commissione di adottare un programma di correzione intensivo, che dovrebbe consentire di rispettare le scadenze della procedura senza limitare i tempi tecnici necessari alla correzione. Condividiamo la scelta della Commissione di lavorare all’interno di uffici ai quali non è consentito di accedere perché chiusi a chiave anche quando la Commissione è al lavoro. Abbiamo infine apprezzato la decisione della Commissione di rendere pubblici i criteri di correzione delle due prove scritte, scelta che l’ANP ha proposto di generalizzare a tutte le regioni.
Vogliamo continuare a sperare e ad operare in un paese normale, nel quale la fiducia prevalga sul pregiudizio e la legge non sia applicata per i nemici e interpretata per gli amici. Per questo motivo ci adopereremo affinché il concorso possa svolgersi nella massima serenità ed essere considerato nella corretta logica costituzionale di uno strumento utile ad individuare le persone più preparate per svolgere una funzione fondamentale al servizio dello Stato e dei cittadini.
Massimo Spinelli
http://www.anplombardia.eu/un-concorso-e-tanti-avvoltoi
Postato da Vincenzo Pascuzzi
Venerdì 03 Febbraio 2012 09:23
Su Aetnascuola
E’ vero, però, in un Paese normale un concorso pubblico è organizzato con procedure che non lasciano nulla al caso e dove l’improvvisazione non è di casa. In un Paese normale quando si scelgono decine di esperti per formulare test destinati ad un importante concorso pubblico, si formalizzano e si ufficializzano verbali da cui evincere i criteri e i modi adottati per la scelta fatta.
In un Paese normale….
Massimo Spinelli, presidente regionale ANP Lombardia, comincia un suo recente articolo dicendo che in un paese normale si entra nella pubblica amministrazione attraverso la procedura del concorso pubblico e non attraverso i decreti e le sentenze dei giudici amministrativi o del Consiglio di Stato. E’ vero, però, in un Paese normale un concorso pubblico è organizzato con procedure che non lasciano nulla al caso e dove l’improvvisazione non è di casa. In un Paese normale quando si scelgono decine di esperti per formulare test destinati ad un importante concorso pubblico, si formalizzano e si ufficializzano verbali da cui evincere i criteri e i modi adottati per la scelta fatta. In un Paese normale gli esperti designati a formulare domande a risposta multipla non dovrebbero commettere un errore ogni cinque domande confezionate. In un Paese normale i bandi concorsuali dovrebbero rispettare le direttive europee in vigore. In un Paese normale non dovrebbero esserci querele come l’episodio di Caserta, dove si denuncia che si sono pagati migliaia di euro per partecipare a corsi preparatori di dubbia finalità. In un Paese normale non dovrebbero esistere problemi concorsuali legati a fughe di notizie relativi ai test proposti . In un Paese normale non si dovrebbero fare ricorsi contemporanei al TAR del Lazio e ad altri TAR periferici, per ottenere facili scorciatoie concorsuali. In un Paese normale non dovrebbero esserci giornalisti di fama nazionale a proteggere, con i loro scritti, diritti acquisiti contrastanti con le ordinanze del Consiglio di Stato. In un Paese normale non dovrebbero esserci politici di livello nazionale, che attraverso loro leggi hanno caratterizzato precedenti concorsi, come partecipanti ad un successivo concorso della stessa tipologia. In un Paese normale si dovrebbe avere più rispetto verso il pensiero altrui. Aldo Domenico Ficara , redattore di AetnaNet, conclude il suo articolo dicendo, forse non siamo in un Paese normale.
Aldo Domenico Ficara
aldodomenicoficara@alice.it
http://www.aetnanet.org/catania-scuola-notizie-247514.html
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Un concorso e tanti avvoltoi
Editoriale di Massimo Spinelli - gennaio 2012
Avremmo volentieri fatto a meno di scrivere questo editoriale, ma vi siamo stati trascinati per i capelli dall’incalzare degli eventi e dal rincorrersi di polemiche e proteste che, pur provenendo da fronti diversi, sono accomunate dallo stesso obiettivo: bloccare la procedura concorsuale per il reclutamento di 2386 dirigenti scolastici. In queste situazioni è bene che ognuno si assuma le proprie responsabilità pubblicamente, in modo che tutti i soggetti coinvolti a vario titolo, in primis gli idonei, titolari dell’interesse legittimo a proseguire una procedura che li ha visti superare una prova preselettiva di accesso alle prove concorsuali, abbiano la possibilità di valutare e di giudicare.
In un paese normale si entra nella pubblica amministrazione attraverso la procedura del concorso pubblico e non attraverso i decreti e le sentenze dei giudici amministrativi o del Consiglio di Stato. Un vezzo, questo, tutto italiano, amaramente collaudato nelle due precedenti tornate concorsuali del 2004 e del 2007, allorquando le due procedure allora adottate, a causa delle loro contraddizioni intrinseche, permisero a candidati privi del minimo requisito di partecipazione alle prove di accedere alla funzione dirigenziale attraverso il combinato disposto di un regolamento colabrodo e di leggine ad hoc, buone a sanare tutte le situazioni. Si tratta di vicende incresciose, a volte indecorose, che ci siamo trascinati dietro per anni, compreso il finale con annesso “congelamento” e successivo “scongelamento” dei colleghi siciliani, trattati alla stregua di surgelati.
Quando nel 2007 il MIUR ha messo mano alla riforma del regolamento per il reclutamento dei dirigenti delle istituzioni scolastiche era chiaro per tutti, amministrazione e organizzazioni sindacali dell’area V, che non si sarebbe più dovuto permettere che si ripetessero gli errori e gli orrori del passato. A tal fine ci si è preoccupati di eliminare dalla procedura tutte le occasioni di contenzioso e gli spazi per valutazioni discrezionali:
■esiste una sola modalità concorsuale di accesso alla dirigenza, quella ordinaria;
■la valutazione dei titoli, uno degli elementi più critici, è stata spostata dalla fase di accesso a quella di valutazione terminale (dopo che i candidati abbiano quindi dato prova delle loro competenze nella preselezione, nei due scritti e nel colloquio);
■la fase di accesso è stata affidata ad una prova preselettiva, sull’esempio dei più avanzati modelli europei e di prassi già sperimentate in altri settori della pubblica amministrazione;
■è stato eliminato l’incremento del 10% degli idonei rispetto ai posti messi a concorso;
■la seconda prova scritta è stata opportunamente tarata su un’analisi di caso gestionale, anziché su una generica ipotesi progettuale;
■sono state eliminate le code a scorrimento degli idonei non rientranti nel numero dei posti messi a concorso;
■è stata definita la cadenza triennale dei concorsi, pur subordinandola all’autorizzazione da parte del MEF.
Si poteva sperare che novità di questo rilievo potessero costituire un’adeguata garanzia al corretto svolgimento di un concorso invocato da tutti; ma evidentemente non si erano fatti i conti con le numerose categorie di “benaltristi” in servizio permanente effettivo (assieme ai loro studi legali), che prima ancora che si avviasse la fase preselettiva sono entrati in azione contestando il regolamento (non ancora sperimentato) nei suoi fondamenti, a partire dal possesso dei cinque anni effettivi di ruolo nella funzione docente ( benché ridotti rispetto ai sette anni richiesti dai precedenti regolamenti) e a seguire con le modalità selettive, a partire dalla prova di accesso.
Lo svolgimento della prova preselettiva ha ulteriormente scatenato reazioni ferine e implementato ricorsi giurisdizionali di massa, dove l’interesse legittimo a denunciare vizi procedurali o formali verificatisi nel corso della prova si è miscelata con la scelta del ricorso per il ricorso, nella convinzione che un’ammissione con riserva non si nega a nessuno (almeno così va di solito nel nostro bel paese!) e che non mancano parlamentari pronti a sostenere l’ennesima sanatoria, da infilare non appena possibile di soppiatto nel primo decreto “mille proroghe” di passaggio.
È bene precisare che il MIUR in occasione della prova preselettiva, della sua predisposizione e del suo svolgimento non ha dato dimostrazione di particolare efficienza, tutt’altro. In un paese normale un test preselettivo si svolge davanti ad un terminale, si schiaccia un tasto per individuare la risposta esatta, al termine della prova si ha in diretta l’esito della stessa. Da noi si è optato per la modalità Gutemberg, cioè per la pubblicazione di un ponderoso tomo non perfettamente impaginato e di non facile consultazione. La prova si è svolta dunque in condizioni non particolarmente agevoli, ha richiesto sicuramente un supplemento di attenzione e di impegno da parte dei candidati, ma sta di fatto che in condizioni di pari difficoltà alcuni hanno superato la prova e altri no. Ovviamente molti Soloni si sono esercitati nello spiegare al volgo che “ben altro” doveva essere il meccanismo di selezione in ingresso, che non è un test che può misurare la competenza professionale delle persone e ci sono tornate alla mente le vecchie diatribe degli ani ’70 e ’80 sulla valutazione soggettiva e oggettiva ed abbiamo capito, con profondo rammarico, che siamo ancora fermi al secolo scorso.
La parola ovviamente è passata agli studi legali (fortuna che c’è la scuola, le graduatorie e i concorsi!) e ai tribunali amministrativi, con tutto ciò che ne è conseguito in termini di confusione, di decisioni contraddittorie, di ricorsi al Consiglio di Stato. Quando è stato chiaro che la mole dei ricorsi non rappresentava le istanze di chi riteneva di essere stato leso in un interesse legittimo, ma il tentativo di intorbidare le acque e di far passare ancora una volta la logica del “tutti ammessi con riserva” sotto il ricatto di bloccare e annullare per via giudiziaria il concorso, ci si è trovati di fronte al bivio: o subire o reagire. L’ANP ha scelto la seconda strada, non certo per convenienza come ci hanno fatto notare alcuni nostri iscritti risultati non idonei, ma per non apparire conniventi con logiche sindacali perverse e con un sistema istituzionale malato. Il nostro ricorso ad opponendum aveva questo significato: dire no ai soliti pateracchi, dove non vige il principio normativo ma la convenienza, l’accomodamento, la mediazione al ribasso, il grigio che si sostituisce al bianco e al nero, la scappatoia legale che nella culla del diritto rende legittima l’illegittimità.
Anche questa nostra scelta, rischiosa ma responsabile, ha dato la stura a chiassose e scomposte reazioni, ma non abbiamo deflettuto di un millimetro. Un’adesione in massa al ricorso ad opponendum avrebbe reso più efficace la nostra azione, ma il numero delle adesioni raccolte tra i candidati idonei in tutta Italia ci ha consentito comunque di partecipare alle convocazioni dei TAR (così sarà anche per la prossima convocazione presso il TAR Lombardia) e di rappresentare i diritti di chi è risultato idoneo, il concorso vuole portarlo avanti ed ha buone probabilità di vincerlo. Vedremo come andrà a finire, ma in ogni caso resteremo convinti delle nostre scelte e saremo pronti a ribadirle e a riproporle, senza tema di essere valutati e giudicati.
Ma i tentativi di ostacolare la procedura concorsuale non si sono fermati al livello delle controversie giudiziarie, per altro particolarmente insidiose. C’è stato da ridire sulla composizione delle commissioni di concorso, passate ai raggi x delle provenienze territoriali e delle estrazioni professionali, al punto che la Presidente della Commissione istituita dall’USR Lombardia ha ritenuto preferibile restituire l’incarico al Direttore regionale pur di non alimentare le polemiche e mettere a rischio il concorso. Anche in questo caso non si è avuto alcun ritegno nell’imbastire un giudizio sommario e pregiudiziale circa l’adeguatezza della persona a svolgere l’incarico e nel richiedere un passo indietro, in assenza del quale era prevedibile una nuova messe di ricorsi e di contenziosi.
Come se non bastasse abbiamo dovuto assistere sgomenti, da ultimo, anche all’incredibile ennesima contestazione circa la collocazione della Commissione di concorso all’interno degli uffici dell’USR, come se questo fosse un elemento che potesse influenzare l’operato dei commissari. Quando si raggiungono questi limiti vuol dire che si è superata la soglia del buon senso e occorre che qualcuno si assuma l’onere di richiamare tutti gli attori della vicenda ad una chiara assunzione di responsabilità.
C’è un interesse generale che va salvaguardato: fare in modo che la procedura concorsuale si svolga nella massima regolarità, affinché al primo di settembre i 335 vincitori del concorso possano assumere servizio nelle scuole della Lombardia. Nella ripartizione dei posti messi a concorso la nostra regione è già risultata penalizzata, dal momento che già oggi il numero delle reggenze assegnato è vicino a quota 410. Se la procedura concorsuale dovesse essere bloccata o anche solo rallentata il sistema scolastico regionale, già oggi messo a dura prova, probabilmente collasserebbe di fronte a circa 550 scuole prive del dirigente titolare. A questi problemi si aggiunge il prossimo intervento di dimensionamento della rete scolastica che affiderà in reggenza in modo automatico tutti gli istituti sotto i 600 alunni (400 nei comuni di montagna).
Chi ha a cuore i problemi della scuola dovrebbe rendersi conto di questa situazione e valutare alla luce di questa prospettiva l’azione dei tanti avvoltoi che continuano a svolazzare sul concorso a dirigente scolastico. Noi dell’ANP ce ne siamo resi conto fin dall’inizio e staremo in campo perché gli avvoltoi non l’abbiano vinta. Ci fidiamo dell’operato della Commissione, perché contiamo sulla professionalità e il senso istituzionale dei suoi componenti e dei dirigenti scolastici che ne fanno parte, non abbiamo alcun motivo per dubitare della loro correttezza, non nutriamo alcun pregiudizio né alcun sospetto e saremmo disposti a cambiare atteggiamento soltanto di fronte a fatti oggettivi dimostrati. Condividiamo la scelta di collocare la Commissione all’interno degli uffici dell’USR perché la soluzione istituzionale ci sembra la più opportuna e qualunque altra collocazione avrebbe richiesto l’adozione di particolari sistemi di protezione. Condividiamo la scelta della Commissione di adottare un programma di correzione intensivo, che dovrebbe consentire di rispettare le scadenze della procedura senza limitare i tempi tecnici necessari alla correzione. Condividiamo la scelta della Commissione di lavorare all’interno di uffici ai quali non è consentito di accedere perché chiusi a chiave anche quando la Commissione è al lavoro. Abbiamo infine apprezzato la decisione della Commissione di rendere pubblici i criteri di correzione delle due prove scritte, scelta che l’ANP ha proposto di generalizzare a tutte le regioni.
Vogliamo continuare a sperare e ad operare in un paese normale, nel quale la fiducia prevalga sul pregiudizio e la legge non sia applicata per i nemici e interpretata per gli amici. Per questo motivo ci adopereremo affinché il concorso possa svolgersi nella massima serenità ed essere considerato nella corretta logica costituzionale di uno strumento utile ad individuare le persone più preparate per svolgere una funzione fondamentale al servizio dello Stato e dei cittadini.
Massimo Spinelli
http://www.anplombardia.eu/un-concorso-e-tanti-avvoltoi