Karl Polanyi, economista e antropologo ungherese emigrato negli Usa all'avvento del nazismo, osserva che nessuna società, salvo quella inaugurata dalla rivoluzione industriale, si è fatta totalmente determinare dal mercato come sua istituzione centrale. Lo studioso sostiene che la sfera economica non è separata dalla società e contesta la "mercificazione" del lavoro, della terra e della moneta; di conseguenza, Polanyi rivendica la dignità dell'uomo e delle sue funzioni sociali: il denaro, la proprietà e le attività produttive non sono semplici fattori di mercato soggetti a vendita, ma devono essere garanzia della qualità della vita.
Il punto cruciale è questo: lavoro, terra e moneta sono gli elementi essenziali dell'industria; anch'essi debbono essere organizzati in mercati poiché formano una parte assolutamente vitale del sistema economico; tuttavia essi non sono ovviamente delle merci, e il postulato per cui tutto ciò che è comprato e venduto deve essere stato prodotto per la vendita è per questi manifestamente falso. In altre parole, secondo la definizione empirica di merce essi non sono delle merci. Il lavoro è soltanto un altro nome per un'attività umana che si accompagna alla vita stessa la quale a sua volta non è prodotta per essere venduta ma per ragioni del tutto diverse, né questo tipo di attività può essere distaccato dal resto della vita, essere accumulato o mobilitato. La terra è soltanto un altro nome per la natura che non è prodotta dall'uomo, la moneta infine soltanto un simbolo del potere d'acquisto, che di regola non è affatto prodotto ma si sviluppa attraverso il meccanismo della banca o della finanza di stato. Nessuno di questi elementi è prodotto per la vendita. La descrizione, quindi, del lavoro, della terra e della moneta come merce è interamente fittizia.
(Karl Polanyi, La grande trasformazione, 1944)
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