di Marina Boscaino - 30 luglio 2012
Perdonatemi se insisto, ma si tratta di una delle vicende più gravi relative alla scuola che si siano registrate negli ultimi anni. Lo faccio per due motivi: molti di noi (studenti, insegnanti, genitori, cittadini), nella disattenzione generalizzata dei media e nella mancanza di informazione su vicende che non riguardino direttamente lo spread o i processi che si stanno celebrando, potrebbero tornare tra un mese a scuola e assistere alla partenza di un progetto di destrutturazione del modello della scuola della Costituzione senza aver avuto nemmeno notizia di questa eventualità; in linea generale, poi, i cittadini tutti, anche quelli che con la scuola non abbiano direttamente nulla a che fare, stanno per subire un attacco durissimo alle procedure democratiche che dovrebbero caratterizzare il nostro Paese.
Il tema della rappresentanza democratica nella scuola e della riforma degli organi collegiali è stato deliberatamente sottratto al dibattito parlamentare e affrontato in commissione cultura, alla stregua di tutte le leggi “prive di rilevanza generale”. Ciò che colpisce è che l’artefice del confinamento della norma e della sua elaborazione in camera caritatis, senza il dialogo non solo con gli interlocutori e i protagonisti del mondo della scuola, ma con i cittadini tutti, unici e veri “portatori d’interesse”, è il Pd.
Vi sembra normale, infatti, che a scuole chiuse, conclusi anche gli esami di Stato, nel periodo in cui gli insegnanti (quei fannulloni improduttivi!) sono in vacanza, il gruppo parlamentare del Pd si accinga a votare insieme al Pdl la proposta di legge di riforma del governo della scuola che trasforma la Scuola della Repubblica, delineata nella Costituzione, in una Scuola del mercato volta a riprodurre le disuguaglianze sociali e territoriali?
O si tratta di un atteggiamento truffaldino e furbesco, che spera di limitare il dissenso approfittando dell’afa e delle ferie; o si tratta di un gesto di aperta provocazione, che ribadisce al mondo della scuola: le decisioni le prendiamo noi, del vostro parere non ci interessa. In entrambi i casi siamo davanti ad un atto gravissimo, frutto di uno zelo che il Pd ha stentato e stenta a mettere in campo in tanti settori in cui avrebbe potuto impegnarsi di più e diversamente.
La riforma degli organi collegiali con questo voto viene definitivamente sottratta al dibattito nel Paese e nello stesso Parlamento; si ignora volontariamente l’opposizione ferma che alcune forze politiche (Idv, Sel, Federazione della Sinistra) hanno espresso. Le audizioni a cui le associazioni sono state invitate (a questo punto, bisogna pensare, solo formalmente) a cui ho partecipato personalmente, hanno fatto emergere in dissenso che l’ex più grande partito di opposizione non ha ritenuto di dover registrare: si nega alle associazioni, alla organizzazioni democratiche e ai cittadini la possibilità di dire la propria su un provvedimento che arretra la scuola non tanto e non solo sul campo di una presunta “modernità” (termine molto caro al Pd e all’attuale governo, in una visione che spesso confina il concetto a sinonimo di neoliberismo), ma sul campo dei diritti e della determinazione di un’istituzione dello Stato che dia a tutti i cittadini identiche opportunità di crescita, di cultura e di emancipazione, proponendo – nella completa disattenzione per l’art. 3 della Costituzione – una scuola di mercato, volta a riprodurre ed immobilizzare le disuguaglianze sociali e territoriali.
La novità questa volta – in una drammatica linea di continuità con scelte che hanno segnato negativamente l’evoluzione della scuola dello Stato nel nostro Paese – è che il Pd non sta solo appoggiando un progetto di legge scellerato, ma si fa promotore convinto – lo hanno ribadito a più riprese e in varie occasioni Bachelet, Puglisi, Coscia, Ghizzoni – in accordo con il Pdl, di un progetto perfettamente in linea con l’aziendalizzazione della istituzioni scolastiche (scuola di mercato vs scuola istituzione dello Stato), che vede nella figura del dirigente manager uno dei suoi elementi più peculiari. Un progetto inaugurato e concretizzato con l’autonomia scolastica e continuato con la legge di parità (scuole dello Stato e scuole private), provvedimenti made in Ds-Pd dai lontani 1997 e 2000.
La proposta di legge 953 “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali”, poi, si colloca in singolare continuità con la proposta di legge Aprea, presentata nel 2008, emendata della parte che in quella proposta riguardava reclutamento e carriera dei docenti. Autonomia statutaria, forte ridimensionamento degli organi collegiali, presenza di partner privati (nell’organo di indirizzo generale, il Consiglio dell’Autonomia, come in quello di valutazione, confinando persino la libertà di insegnamento ad un nostalgico principio retro’) con privati finanziamenti all’interno dei singoli istituti, costituiscono i punti fermi della nuova proposta del Pd: una vera e propria deregulation della scuola, che certamente è molto moderna e market oriented, ma che non ha davvero nulla a che fare con il ruolo e la missione civile, culturale e democratica che la scuola deve continuare ad avere.
Per questi ed altri motivi tutti coloro che credono nella difesa della scuola pubblica dalle minacce di privatizzazione e di smantellamento presenti nella proposta di legge 953 oggi in discussione, in sede legislativa, nel chiuso della VII Commissione, sono invitati a sfidare il caldo e a partecipare ad un sit in di protesta in piazza Montecitorio martedì 31 luglio alle ore 10,30. Emergiamo dai nostri proverbiali 3 mesi di vacanza (salvo aver terminato l’esame di Stato da pochi giorni), scrolliamoci dal nostro connaturato fannullonismo improduttivo: non rinunciamo a gridare il nostro indignato dissenso e a mettere in campo le nostre energie per opporci alla prospettiva di una scuola Far West.
Marina Boscaino