pubblicata da Marcella Raiola il giorno domenica 22 luglio 2012 alle ore 4.01
Prof., mi mancate... Maestra, non vi dimenticherò... Prof., mi avete dato tantissimo... Prof., ieri vi ho sognato e oggi ho preso 30 e lode all'esame di Procedura... Prof., abbiamo avuto degli scontri, ma ci tenevo a dirvi che quel che avete detto in classe mi ha aiutato a riflettere, a cambiare...
Quanti di noi hanno il bene di sorridere di compiacimento o piangere di commozione nel leggere, anche a distanza di anni, messaggi come questi? Credo che potremmo pavimentarne tutta Montecitorio, se ne mettessimo assieme anche solo un terzo!
Di quanta "produttività" è indice la gratitudine di chi crede o sente di aver trovato, anche grazie a noi, il bandolo della matassa della sua identità, di chi ha saputo guardare al di là della mortificazione ministeriale e dei 1000 euro al mese, di chi ha saputo vedere l'essenza di una felicità più profonda, più autentica, nella nostra gioia di declamare un verso immortale, o ha colto la tangibile forma di una consolazione più appagante in quel sorriso un po' ebete che ci vagola sul viso nel sentirlo compitare di nuovo, con delicata reverenza, da un quindicenne persuaso, infine, della sua capitale importanza, dopo 2500 anni di eco ininterrotta?
Quanti punti di spread vale un ragazzo che entra in classe sostenendo che i gay sono "esseri umani" ma che lui non vuole averci a che fare, e ne esce pensando che gli esseri umani non si classificano, e che la violenza è molto più "innaturale" di ciò che vorrebbe far credere chi s'arroga il diritto di stabilire cosa sia "naturale" e cosa no?
Quanti bund tedeschi vale una ragazza che entra in classe convinta che le botte del fidanzatino siano la sua iniziazione alla vita "vera" e ne esce determinata a farsi rispettare e a imporre il rispetto della sua integrità e delle sue ambizioni?
Di quanto innalzano il Mibtel dei ragazzi che entrano a scuola perché ce li hanno mandati e ne escono magari ammaccati, ma pieni di domande da porre, di esperimenti da fare, di metodi da applicare, di storie da confrontare, di teorie da confermare, di fatti da acclarare, di impegni da prendere, di amori e odi da coltivare, di ideali da smontare, di bandiere da brandire?
Molti potranno dire che la scuola non fa questo, che non lo fa quasi mai o raramente, che la mia è solo la generalizzazione di una personale e bella esperienza maturata per caso, o la sublimazione paranoide, se non interessata, di un vissuto scolastico ottuso e burocratizzato... Però la scuola ci prova. E' l'unica che ci provi. E' la sola deputata a ciò. E' la sola che ci debba credere per statuto, per vocazione, per funzione.
I signori di marmo grigio delle banche hanno deciso che l'istituzionalizzazione del tentativo di incivilire, dirozzare, dialettizzare e ri-creare è spreco; hanno deciso che chi ci nasce, bene, chi no, si frega. Hanno deciso che noi che ci proviamo, entrando col batticuore in aula per la paura di essere posti di fronte alle domande scomode, pronti comunque a dare le più scomode risposte, siamo il cancro da estirpare, la piaga da sanare, il bubbone da cauterizzare col fuoco di un repulisti inusitato, impreveduto. Noi.
Siamo noi che dobbiamo morire, sparire, "riconvertirci" per diventare "utili", utili come chi produce sul serio, utili come un parlamentare assenteista e caprone, utili come una ministra d'alcova, come una barbie da bunga-bunga, come un portaborse o un autista d'auto blu. Siamo noi, i prof., siamo noi che siamo "di troppo" nel paese in cui quarantasette persone su cento faticano a mettere la propria firma e non comprendono un enunciato "nucleare", soggetto e predicato... Noi, proprio noi...
La spending review ci condanna a morte, condanna a morte per consunzione la scuola pubblica, quella che faceva uguali, quella che ci ha portato qua, quella che abbiamo creduto fosse intoccabile, irrinunciabile per poter pronunciare la parola "progresso" senza arrossire, senza far ridere...
Giovedì 26 io vado a Roma, dentro il "Palazzo". Vado a dire ai signori di marmo grigio che la nostra morte è la loro; è quella delle loro figlie, assediate dalla violenza; è quella dei loro figli, circuìti dal malaffare e imbestiati dal vuoto d'anima. Vado a dire loro, in faccia, che non siamo noi il cancro, non siamo noi la piaga, non siamo noi il vuoto.
Vado a dire loro che, piaccia o no, ci detestino o ci invidino, noi siamo la cura, la terapia; siamo il tesoro che si trova quando tutto è perso e siamo la mappa che consente di trovarlo, siamo l'amo che affonda in acqua, siamo il seme che affonda nella terra, siamo la trepidazione dell'attesa e siamo la festa del raccolto; siamo la pienezza del senso che riempie i deserti, siamo la fonte del dolore buono, siamo il verbo che si fa intenzione, siamo la favola che si fa scelta.
Giovedì 26, io vado a dirglielo... Andiamo insieme. Non lasciamoci soli.