La riforma Fornero ha stabilito che per
andare in pensione prima dell’età anagrafica prevista (in questo momento 66
anni e tre mesi per gli uomini e un minimo di 62 e tre mesi per le donne)
servono (nel 2013) 42 anni più 2 mesi di contributi versati per gli uomini e 41
più 2 mesi per le donne. Nel conteggio di questi anni entrano però solo i giorni
effettivamente lavorati e non quelli coperti da contributi figurativi, fatta
eccezione per infortuni, malattia, servizio di leva e maternità obbligatoria.
Quindi
ai fini del conteggio totale degli oltre 42 anni, non valgono più i giorni in cui un lavoratore è stato assente
per permessi retribuiti per motivi familiari, lutto, diritto allo studio,
donazione del sangue, sciopero. Inoltre non valgono nemmeno i giorni di assenza per la legge
104/1992 (che riconosce permessi retribuiti per l’assistenza di un figlio
disabile) e addirittura il congedo parentale (ex maternità facoltativa).
Si tratta di 180 giorni a figlio nel
caso del congedo parentale e di 3 giorni al mese nel caso della 104, che in una
vita da genitore di figlio disabile diventano anni. Pertanto da più parti si
spinge per una parziale riforma della legge Fornero, ipotizzando varie forme di
flessibilità in uscita dal lavoro, prima fra tutte quella che consenta l'accesso alla pensione in un
arco di età compreso tra i 62 e i 70 anni (a condizione che si abbiano 35 anni
di contributi e si accetti una penalizzazione massima dell'8%).