Scuola. Bugie e scempiaggini di Attilio Oliva (Treellle) per conto Confindustria

Nota di: Alvaro Belardinelli, Bianca Maria Cartella, Maria Costa, Luigi Cozza, Nina Effemele, Francesco Paolo Magno, Francesco Mele, Giancarlo Memmo, Vincenzo Pascuzzi, Eliana Petralia, Cecilia Riginelli, Anna Torrente.
Pubblicata Giovedì, 16 luglio 2015 

Nel sito it.blastingnews.com (vedi link) possiamo leggere il brano che segue:
«La Buona Scuola è stata appena approvata ma la sua effettiva implementazione non sarà certo agevole. Il Referendum abrogativo e la preannunciata disobbedienza civile negli istituti scolastici potrebbero, infatti, metterne in forse la piena realizzazione. Si spiegano così i recenti interventi di molti intellettuali di regime, Galimberti in testa, scesi in campo a gamba tesa per legittimare la Riforma imposta da Renzi.
A rafforzare la compagine mediatica in favore del provvedimento, Il Sole 24 Ore ha ultimamente (10/7/2015) ospitato l’intervento (vedi link) di Attilio Oliva, Presidente dell’Associazione TreeLLLE, affiliata Confindustria e principale committente, suggeritore e in parte vero estensore di quella Riforma.
Con una serie di domande retoriche volte a informare la pubblica opinione sul pietoso stato della Scuola italiana, il sig. Oliva sciorina una lunga sequenza di dati statistici nei paesi UE, a dimostrazione dell’arretratezza e della scarsa competitività del sistema istruzione nazionale; si duole, poi, ma senza accennare ai loro pessimi risultati, di come le scuole private stiano diminuendo per mancanza d’iscrizioni e, infine, lamenta il carattere troppo umanistico dei curricoli scolastici.
Per l’articolista confindustriale la responsabilità del disastro è da imputare sostanzialmente a una classe docente arroccata a difesa di corporativi diritti acquisiti (per lui privilegi) che, per questo, avrebbe sino ad oggi imposto alla politica scelte organizzative e gestionali caotiche ed inefficienti, del tutto inadeguate a governare la nuova dimensione dell’istruzione di massa; opponendosi alla Riforma, i docenti dimostrerebbero dunque il loro interessato conservatorismo a fronte delle necessarie innovazioni governative.»
L’autore dell’articolo, Massimo Calcarella, per economia espositiva, evita di “esaminare nel dettaglio le affermazioni del rappresentante TreeLLLe”. Ed è invece proprio quello che vogliamo fare noi (siamo un piccolo gruppo), cioè mettere a fuoco, verificare e nel caso ribattere alle tesi e affermazioni esposte da Attilio Oliva nell’articolo citato.

Il titolo dell’articolo di Attilio Oliva è: «La bufera sulla scuola italiana: quel che nessuno vi ha detto» ed ha come in premessa:
«Di scuola si è parlato molto negli ultimi mesi e questo, direbbe il saggio, è cosa buona. Ma cosa si è detto?
In tanto clamore, il normale cittadino non addetto ai lavori si è potuto fare l’idea che si sia voluto stravolgere a forza un modello di scuola che invece andava difeso. E’ proprio così?
Cominciamo con il rilevare un dato: l’unico obiettivo esplicito della protesta è stato il ritiro dell’intero progetto. Si riteneva necessaria solo l’assunzione di centomila insegnanti, che comunque venivano giudicati troppo pochi.
Vediamola allora, in pochi punti chiave, questa scuola che si voleva conservare ad ogni costo:»

In proposito, osserviamo subito che il “normale cittadino” non legge Il Sole-24 Ore, quindi ha poco senso chiedere “lo sapevate ….” e ripeterlo per nove volte di seguito.
È falso che l’unico obiettivo della protesta fosse il ritiro del ddl “buona scuola”. Già dal 2006 esiste, ed è stata ripresentata nel 2014, una proposta di legge di iniziativa popolare  – detta LIP per una Buona Scuola per la Repubblica – ma è stata del tutto ignorata dal Parlamento su indicazione o ordine del Governo.
Poi, è anche falso che “si voleva conservare ad ogni costo” questo “modello di scuola”, ma, a fronte di un progetto bislacco e peggiorativo (e giudicato inemendabile) come la c.d. “buona scuola”, la situazione precedente di partenza appariva e appare meno peggio.
È stato Renzi ad aver saldato artificialmente l’assunzione di 148.000 supplenti precarizzati (più propriamente, la loro regolarizzazione, anche in adempimento di sentenza Ue!) a una macro-riforma ovviamente “epocale”.
Così scrive Michele Ainis sul Corriere del 26 giugno: “Nel caso della scuola, questa maschera deforme comprende 209 commi, che s’allungano per 25 mila parole [e 9 deleghe in bianco al governo !!]. Neppure Samuel Beckett, …. Intanto, sui contenuti la riforma è in chiaroscuro, altrimenti non avrebbe innescato una valanga di proteste. Restano elementi critici sull’offerta formativa, sui poteri del preside-sceriffo (decide lui chi assumere), sul finanziamento alle scuole private (vietato dalla Costituzione). Dopo di che non mancano i progressi: maggiore autonomia, stabilizzazione dei precari, aiuti alle scuole disagiate, processi di valutazione dei dirigenti e dei docenti . Restano chiaroscuri anche sul maxiemendamento, rispetto al testo originario. Quanto al piano d’assunzioni, per esempio, è in chiaro il reclutamento degli idonei usciti dall’ultimo concorso, è in scuro il rinvio della pianta organica al 2016”.

Ed ecco al punto 1 il primo “lo sapevate?” di Attilio Oliva.
«1. Lo sapevate che, già prima delle centomila assunzioni, la nostra scuola è quella che in Europa ha più insegnanti in relazione al numero degli studenti? Che il rapporto è di circa 1:11 contro 1:15? Che l’età media dei nostri insegnanti è di oltre 55 anni, mentre nel resto di Europa si aggira su poco più di 40? E che da noi si entra in ruolo a quasi 42 anni (dopo un estenuante e umiliante precariato) contro i 25-27 degli altri paesi? »
 La nostra risposta.
Questa sbandierata e gridata sovrabbondanza o eccesso di docenti è una balla colossale e datata, già spacciata e smascherata fin dai tempi di Gelmini (2008), ma che viene spudoratamente riciclata e riproposta ora e quando occorre intorbidire le acque. È una menzogna vintage che resiste nel tempo!
Nel rapporto 1:11 tra docenti e studenti si dimentica di specificare che sono inclusi i docenti di religione cattolica (24 mila circa) e gli insegnanti di sostegno (110 mila circa) che in altri paesi non sono previsti.
Non si tiene conto del fatto che gli studenti italiani sopportano un carico di ore di lezione più gravoso del 20-25% rispetto alle medie Ue.
Non si tiene conto della particolare morfologia di alcune parti del territorio italiano come Calabria e Sardegna.
Risultato: ci sono classi “pollaio” con 28/30/33 alunni. Cifre permesse dalla riforma Gelmini. Gli spazi però non consentono tali numeri perché il più delle volte gli spazi sono angusti e non rispettano le minime norme di sicurezza e vivibilità. Le stesse norme previste dal ministero col DM 18/12/1975 e richiamato dalla legge 23/1996: 1,80mq alunni scuola materna – elementare – media 1,96 ma alunni scuola superiore sono regolarmente disattese. Aule che possono contenere 15 alunni ne contengono 25. E allora di cosa stiamo parlando?
Per quanto riguarda l’età dei docenti, dove eravate quando è stata aumentata l’età pensionabile per volontà di Dini, Maroni, Fornero. Confindustria e Capitale finanziario? Vi stava bene perché alla fine della fiera ciò che conta sono i tagli che continuate ad operare. Uso il plurale perché siete stati voi stessi a dettare questa riforma ai governanti di turno.
Chi ha ascoltato le audizioni al Senato, in quel momento, ha avuto la certezza che erano una farsa perché tutto era già stato deciso. Da voi.
Non si vede come questa riforma possa allineare l’Italia all’Europa. Il precariato è voluto dal sistema.

Al punto 2, compare il secondo “lo sapevate?”
«2. Lo sapevate che ormai da decenni il reclutamento degli insegnanti avviene per lo più grazie a sanatorie, senza alcuna attenzione né alla selezione di giovani laureati motivati né ad una valutazione dei precari sulla base della loro prova sul campo? E che questo viene definito “tutela dei diritti acquisiti”, mentre la scuola dovrebbe tutelare prima di tutto i diritti degli studenti?»
 La nostra risposta.
Quelle di Attilio Oliva sono considerazioni basate su presupposti falsi, che se anche fossero veri, la responsabilità non sarebbe certo dei docenti ma dei governi, dei ministri, dei politici in genere, forse anche dei sindacati. Alla responsabilità dei politici risale la scelta di indire i concorsi con frequenza più che decennale (1990, 2000, 2012), allo scopo di “risparmiare” utilizzando i precari, cioè sfruttandoli. È stato calcolato che un precario fa risparmiare tra gli 8 e i 9.000 euro/anno, rispetto a un docente di ruolo. Con 15 anni di precariato lo Stato “risparmia”, cioè sottrae a un precario, l’equivalente del costo di una casetta o di un appartamento.
Sa di demagogia vile e a buon mercato il richiamo strumentale ai “giovani laureati motivati”, forse per ingraziarseli e-o per aizzarli sia contro i precari storici, bloccati nella loro situazione, sia contro gli anziani che sarebbero ben volentieri in pensione se non ci fosse stata la lacrimevole Fornero.
“La scuola dovrebbe tutelare prima di tutto i diritti degli studenti?” si chiede Oliva. Intanto nella riforma renziana non si trovano cenni di tutela delle varie forme di “diversa abilità” e non si trovano nemmeno indicazioni specifiche relative a coloro che poi sono destinati all’abbandono scolastico (hanno diverso modo di apprendere). Traspare poi un incitamento maniacale e patologico a una contrapposizione assurda fra docenti e studenti, dopo l’incitamento dei “giovani laureati motivati” contro precari storici e docenti anziani (meno motivati?!). Insomma la buona scuola che piace a Treelle e Confindustria sembra essere la scuola di tutti contro tutti? Magari con metodi sleali (sgambetti, coltellate alla schiena, revolver silenziati, bucce di banana, calci agli stichi o altrove, sgomitate e spinte a lato, ….). Cioè “à l’école comme à la guerre”?
Conviene invece riflettere sullo slogan dei docenti americani: “You can’t put STUDENTS FIRST if you put TEACHERS LAST” !

Al punto 3, compare il terzo “lo sapevate?”
«3. Lo sapevate che la nostra è la scuola d’Europa con più abbandoni (circa il 20%) e dove le assenze degli studenti sono oltre il doppio rispetto alla media? Sarà forse perché le attività che vi si svolgono non riescono a coinvolgerli e interessarli?»
La nostra risposta.
L’affermazione che le assenze e gli abbandoni siano da imputarsi a scarso coinvolgimento e interesse delle attività è l’espressione di un pregiudizio.
Lo studio è una cosa seria, i ragazzi italiani sono avvezzi all’intrattenimento. Intrattenerli non è difficile, il problema insorge quando devono “impegnarsi” nello studio. Prima o poi arriva il momento in cui devi prendere un libro in mano e studiare.
Tra le righe, non è difficile riconoscere il messaggio subdolo che abbandoni e assenze siano conseguenza dell’incapacità dei docenti di suscitare interesse e tener viva l’attenzione degli studenti: è uno scarica barile usato volentieri dai presidi!
In realtà sono la mancanza di reali prospettive lavorative e la logica clientelare imperante che demotivano gli studenti. Sanno che studiare non è la discriminante. L’opportunismo, la furbizia, le conoscenze e, ovviamente, la corruzione sono molto più gratificanti, rapidi e remunerativi.
C’è anche il sovraccarico di discipline e la gravosità di orario scolastico, uniti alla prassi diffusa di condoni in sede di scrutini finali, caldeggiati dagli stessi presidi.
Causa concorrente è il fatto che gli studenti si trovano troppo spesso stipati come sardine in aule strette, di pochi metri quadri, alcune fatiscenti e con rischio di crollo dei soffitti.

Al punto 4, compare il quarto “lo sapevate?”
«4. Lo sapevate che il 95% degli studenti frequenta scuole statali mentre quelle paritarie chiudono l’una dopo l’altra, perché le famiglie non riescono a sostenerne i costi? Si è manifestato contro una immaginaria “privatizzazione”, contro un attacco alla scuola pubblica, mentre ci si avvia di fatto al monopolio statale, con tutti i difetti di ogni monopolio.»
La nostra risposta.
Il dato statistico citato in percentuale è errato in modo grossolano. Gli studenti che frequentano le paritarie sono più del doppio del 5% indicato. Nel corrente a.s., gli studenti italiani risultano così ripartiti: 993.544 alle paritarie e 7.881.632 alle statali, in percentuale rispettivamente 13% e 87%. Le sedi scolastiche paritarie sono 13.625, quelle statali 41.383, in percentuale le paritarie sono al 25%, le statali al 75%.
È esagerazione e allarmismo affermare che le “scuole paritarie chiudono l’una dopo l’altra” (salvo diverse e precise indicazioni da fonti affidabili). È vero che gli iscritti sono scesi sotto la soglia psicologica del milione di alunni, ma il calo più consistente è avvenuto nei c.d. diplomifici dove, in 6 anni, gli iscritti sono passati da 155mila a 119mila.
poi da dimostrare che l’abbandono (ripetiamo minimo e da confermare) sia imputabile all’insostenibilità dei costi da parte delle famiglie (che mediamente sono in condizione economica superiore alla media, o no?).
Non sarà forse che le scuole statali vengono preferite alle paritarie perché gli insegnanti del pubblico sono più preparati e più attenti ai bisogni formativi degli studenti? Le famiglie preferiscono il pubblico perché garantisce maggiore qualità. L’obiettivo delle private è trarre profitti economici spremendo il personale e le famiglie. Alle private si rivolgono le famiglie che vogliono ottenere il titolo di studio, non di certo una preparazione di qualità.
La questione scuole paritarie merita approfondimenti e, in proposito, segnaliamo il recente volume “Il libro nero della scuola italiana” di Paolo Latella.
Sicuramente nella riforma imposta dal governo c’è una spinta alla privatizzazione e si concretizza nel rendere variamente disagevole (a studenti, docenti, anche ai presidi) la scuola pubblica.
Infine, è improprio e fuorviante parlare di scuola evocando il termine “monopolio”, si vuole indurre l’opinione pubblica ad assuefarsi alle scuole-aziende che operano nel mercato e che si fanno concorrenza. Prospettiva assurda, da rigettare, non ancora incombente anche se auspicata da chi pensa di trarne benefici economici.

Al punto 5, compare il quinto “lo sapevate?”
«5. Lo sapevate che una famiglia interessata a trovare una buona scuola non dispone ad oggi di nessuna informazione ufficiale e deve affidarsi al “passaparola”? e che questo avviene perché la scuola statale è in realtà un luogo “privatissimo”, della cui qualità non si riesce a sapere quasi nulla, nemmeno che ogni anno gli insegnanti (anche quelli di sostegno) ruotano “a domanda” fra una scuola e l’altra per circa il 20%? Dove è l’attenzione per l’auspicabile “continuità didattica”?»
 La nostra risposta.
Dovrebbe essere scontato, lapalissiano che tutte le famiglie sono interessate a trovare una buona scuola (senza virgolette). Ugualmente il “passaparola”, cioè informazioni attinte da parenti ed amici che sanno perché hanno sperimentato direttamente, può essere un buon metodo di ricerca e selezione.
Invece non è vero che non esistono informazioni ufficiali sulle scuole da scegliere. In TUTTE le scuole, nel periodo settembre-dicembre o dopo, si organizzano attività di orientamento, i cosiddetti Open Day. Decine e decine di insegnanti sono impegnati in attività, pochissimo retribuite o gratuite, anche il sabato e la domenica, per illustrare a studenti e famiglie le proposte della scuole anche tramite attività-saggio laboratoriali.
Oltre gli open day, ci sono i siti on line o i portali delle scuole, in cui viene descritto in dettaglio l’istituto, illustrato il Pof, il programma offerta formativa, sono fornite altre informazioni.
C’è anche il portale del MIUR con il motore di ricerca “Scuola in chiaro”. Tutte le informazioni – riguardanti sia le scuole statali sia le scuole paritarie – sono lì contenute.
Certo, come indica Attilio Oliva, ci potrebbe essere di più e di meglio, ma ciò non dipende dai docenti, un po’ come non dipende dai pazienti pubblicizzare le strutture ospedaliere, anzi i docenti, come i pazienti, vorrebbero ottime strutture, buoni laboratori e diagnostica d’eccellenza.
Non costituisce certamente un problema reale, ma anzi è una soluzione e una risorsa, il fatto “che ogni anno gli insegnanti …. ruotano “a domanda” [?!] fra una scuola e l’altra per circa il 20%?”. All’origine ci sono i pensionamenti, gli esuberi con i perdenti posto, varie situazioni di disagio ambientale e umano che è meglio risolvere, quando possibile.
La “continuità didattica”, che non sempre è un bene, è principalmente interrotta dall’abuso del precariato.
Al Miur, e anche in Confindustria, dovrebbero considerare e tener presente che “Solo un insegnante felice può insegnare ad essere felice” (Maestra Mary).

Al punto 6, compare il sesto “lo sapevate?”
«6. Lo sapevate che i nostri curriculi hanno un carattere enciclopedico (facile all’oblio) e una forte prevalenza delle materie cosiddette umanistiche rispetto a quelle scientifiche e tecniche? Che sono così rigidi da non permettere alcuna opzionalità per gli studenti? Che perfino il latino, che è opzionale in tutti i paesi del mondo, in Italia (e in Grecia) è invece materia obbligatoria per circa il 40% degli studenti delle secondarie?» 
 La nostra risposta.
Ad Attilio Oliva, come pure a Confindustria, non piacciono sia i “curricoli con carattere enciclopedico” sia la “prevalenza delle materie umanistiche”. Ma è peculiare della coltura italiana essere insieme enciclopedica e umanistica. E non è certamente preferibile un sapere ridotto e spezzettato rispetto a un sistema conoscitivo ampio delle varie materie di studio e che permetta di avere una visione di insieme complessiva e articolata.
Al presidente di Treelle, che lamenta la minorità delle materie scientifiche e tecniche, sfugge che, negli istituti tecnici e professionali, è stata Gelmini a tagliare del 25% le attività laboratoriali, abolendole di fatto.
Sulla questione del latino è quasi inutile rispondere: se in un paese come l’Italia – dove la latinità è alla base del pensiero e della cultura occidentale – non si capisce perché il latino debba essere obbligatorio nei licei, allora forse non c’è più speranza ….

Al punto 7, compare il settimo “lo sapevate?”
«7. Lo sapevate che da noi la didattica è prevalentemente “trasmissiva” e che buona parte del tempo scuola è impegnato da lezioni ed interrogazioni, senza un coinvolgimento più motivante e interattivo degli studenti? E che le verifiche orali hanno la netta prevalenza su quelle scritte e sui test, al contrario di quanto accade negli altri paesi?» 
 La nostra risposta.
Citare, in modo generico, vago e gratuito, “quanto accade negli altri paesi” non serve proprio a nulla e non dimostra nulla!
Intanto per la didattica non trasmissiva ci vogliono condizioni che nelle scuole risultano assenti attualmente, né sono previste per il futuro: spazi adeguati, strumenti, numero ridotto di studenti.
Nella didattica “trasmissiva” si esplica e si realizza la funzione didattica propria e peculiare dei docenti, quella di fornire agli studenti i mezzi culturali per interpretare il mondo. Tanto che questa didattica si potrebbe meglio indicare come didattica “umana”!
A usare computer e navigare in internet (se e quando ce n’è la disponibilità!) i ragazzi sono già bravissimi!
È errato e falso asserire la “prevalenza dell’orale sullo scritto”, purtroppo, è vero il contrario. Fin dalle elementari si privilegiano comprensione e verifiche scritte, anche nelle materie a vocazione orale, perché così la valutazione ne risulta semplificata. Spesso e nostro malgrado, siamo costretti a ricorrere ai test perché il taglio del monte ore disciplinare, l’elevato numero di allievi per classe, la personalizzazione della didattica, impongono la rapidità delle “crocette”, un comportamento questo che però risulta più burocratico che didattico-pedagogico.
Infine, va sottolineato che il ricorso massiccio ed esasperato ai test è sotto accusa e sta vivendo una fase di ripensamento e di crisi, in particolare negli Stati Uniti.

Al punto 8, compare l’ottavo “lo sapevate?”
«8. Lo sapevate che nelle varie indagini Pisa dell’Ocse, che riguardano circa sessanta paesi, le competenze degli studenti quindicenni italiani sono sempre risultate sensibilmente al di sotto della media?»
 La nostra risposta.
Cerchiamo di essere concreti e precisi. I paesi che partecipano all’Ocse non sono 60 ma appena 34, salvo errori.
L’Ocse non è il Verbo incarnato, è un’organizzazione internazionale o, come scrive Norberto Bottani, “un club che raggruppa una trentina di governi che stanziano risorse finanziarie e intellettuali”. Quindi l’Ocse dipende dai governi. Le sue metodologie non sono proprio rigorosamente scientifiche, sono un po’ come le metodologie delle agenzie di rating che il giorno prima del fallimento quotavano la tripla AAA a Lehman Brothers Holdings Inc..
In realtà, poco o nulla sappiamo sui veri obiettivi Ocse; da più parti, soprattutto dal mondo accademico, si comincia a sospettare che i dati Ocse siano pilotati al fine di realizzare strumenti e azioni atti a controllare le masse.
Le indagini come quelle promosse dall’OCSE Pisa, e dall’Invalsi, stanno per essere abbandonate dai paesi europei, ed anche dagli USA (l’abbiamo già notato), che ne hanno verificato l’impatto negativo sul rendimento e sulla preparazione scolastica degli studenti e, soprattutto, sul sistema scolastico pubblico.
Concludiamo questo punto con due domande per Attilio Oliva. Le prime indagini Pisa datano dal 2000, cioè quindici anni fa, in questo periodo “le competenze degli studenti quindicenni italiani sono sempre risultate sensibilmente al di sotto della media”. Allora oltre alle responsabilità ovvie e scontate dei soliti docenti incapaci, fannulloni, ecc., dei soliti e potentissimi sindacati (?!), degli studenti, delle famiglie, ecc. che ci siano anche responsabilità governative e ministeriali, magari legate alla riduzione delle risorse?
Seconda domanda. La legge della Buona Scuola (ora legge n. 107 del 13 luglio 2015), in cui paradossalmente non esiste alcun cenno alle indagini OCSE PISA (!!), sarà capace di valorizzare e migliorare finalmente le competenze dei nostri quindicenni, allineandole almeno ai valori medi europei?

Al punto 9, compare il nono e ultimo “lo sapevate?”
«9. Lo sapevate che tutte queste anomalie e ritardi non dipendono dalla lamentata carenza di risorse finanziarie, visto che la percentuale del Pil destinata alla nostra scuola è del 3%, cioè in media europea, e soprattutto che il nostro “ costo per studente” è addirittura più alto? Il problema sta tutto nella loro cattiva allocazione: troppe risorse al personale addetto (con stipendi più bassi, ma per un numero di addetti troppo alto) e troppo poche per la qualità del servizio (edilizia, premialità agli insegnanti e presidi meritevoli, assenza di un sistema di valutazione esterno delle scuole, pochissima ricerca).»
 La nostra risposta.
Gli spettacoli pirotecnici (fuochi artificiali) terminano con una articolata e fragorosa esplosione finale composta da bombe di vario tipo, in gergo viene chiamata “fuga” o “strenta”. Ecco il punto n. 9 è la “strenta” di Attilio Oliva.
Non si capisce da quale partita di dati statistici avariati o tagliati male è stato tratto il 3% di Pil destinato alla scuola e in linea con la media europea!
Forse per evitare confronti e rifermenti, recentemente dai suoi siti il Pd ha rimosso il suo programma elettorale del 2013 in cui si proponeva di «riportare gradualmente l’investimento almeno al livello medio dei Paesi OCSE (6% del PIL)». Nel 2013, la percentuale di Pil era pari circa al 4,9%.
Attualmente “L’Italia spende il 4,2% del proprio Pil in istruzione pubblica. In Europa è 23esima, lontanissima dalla Danimarca prima in classifica (7,8%). Il nostro Paese è anche sotto la media Ue che è del 5,4 %. Dati del 2014”.
Anche il cenno alla “cattiva allocazione” delle risorse risulta del tutto approssimato, vago, non supportato da dati attendibili e verificabili.
 
La conclusione di Attilio Oliva.
«Questa è la scuola che le proteste dei mesi scorsi hanno cercato in ogni modo di mantenere inalterata, a profitto (forse) di chi ci lavora, ma non certo di chi ci studia e dovrebbe costruire qui il proprio futuro.» Seguono poi alte considerazioni.
 La nostra risposta.
Si ripete un concetto già espresso in premessa e al quale abbiamo già risposto.
Viene piuttosto da chiedersi se lo stesso Oliva, TreeLLLe e Confindustria si siano per caso accorti della consistenza e profondità delle proteste attuate da tutto mondo della scuola (d.s. esclusi) e se il loro significato e la loro interpretazione siano semplicisticamente e banalmente ridotti a quelli che il loro articolo cerca di accreditare.

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Alcuni link

La bufera sulla scuola italiana: quel che nessuno vi ha detto – Attilio Oliva – 10 luglio 2015

La bufera sulla Scuola: la mistificazione di TreeLLLe – Massimo Calcarella – 12 luglio 2015