"... Non vogliate negar
l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra
semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e
canoscenza" (Dante
Alighieri, Divina Commedia, Inferno canto XXVI, 116-120). E’
un’idea sbagliata quella di sostituire la parola “conoscenza” con “competenza? Negli ultimi decenni il concetto di competenza nell’azione didattica all’interno
del sistema scolastico si è evoluto. Inizialmente
l'attenzione si
è focalizzata sul protagonismo del soggetto nel processo di
insegnamento-apprendimento, nel relazionarsi con gli altri e nella
partecipazione ad un progetto comune. La competenza è definita come un
complesso strutturato di conoscenze, di abilità e di atteggiamenti, che
consente di svolgere un compito in modo efficace, in altre parole è la capacità che una persona possiede di
mobilitare le proprie risorse per affrontare con successo un'area di problemi
con aspetti tra loro comuni. Negli ultimi la competenza sta diventando la concreta
novità delle progettazioni educative scolastiche, sia per impulso delle recenti
riforme, sia su sollecitazione degli organismi europei che hanno insistito in
molti documenti su questo tema. In estrema sintesi, ad una scuola concentrata
sulla trasmissione di conoscenze, contenuti, nozioni, si vuole sostituire una
scuola finalizzata allo sviluppo di autonome competenze intese come capacità di
elaborazione personale di quanto appreso in relazione alle situazioni di vita e
di lavoro che si possono presentare. Potremmo dire che il modello cognitivista si sostituisce a quello associazionista.
Ma
adottare la prospettiva delle competenze non significa escludere del tutto
l’attenzione alle necessarie conoscenze e abilità, senza le quali una
competenza si fonderebbe sul vuoto. La proposta pedagogico-didattica è dunque
quella di trovare l’equilibrio tra le diverse componenti del processo di
apprendimento e di crescita personale, per riempire di senso l’azione didattica
ed educativa delle scuole. A tal riguardo risulta molto interessante la
posizione di Salvatore Settis che per 11
anni è stato il direttore di una delle scuole più famose d’Italia, la Scuola
Normale Superiore di Pisa. Settis afferma che c’è bisogno di persone che
abbiano la capacità di uno sguardo generale e che non siano campioni di
conoscenze specialistiche. Che il modello dell’educazione di oggi è come se
puntasse alla formazione di operai in grado di eseguire un solo gesto alla volta,
senza pensare. Lo stesso Settis in un’ intervista su Linkiesta (http://www.linkiesta.it/it/article/2016/02/07/salvatore-settis-la-buona-scuola-non-e-buona-e-le-competenze-non-servo/29179/
) ha detto: “
Studi sempre più specializzati. L’acquisizione
di “competenze” sempre più precise che seguano le esigenze del mercato del
lavoro. Studenti che escono dall’università (o anche dalle superiori) in
possesso di una professionalità spendibile subito. Sono questi i desideri
proibiti di chi frequenta le scuole, oltre che il totem retorico degli addetti
alla cultura, dai ministeri ai dirigenti scolastici. Ma c’è un ma: siamo sicuri
che sia la strada giusta? Sicuri di essere consegnati alle varie
specializzazioni e alle tecnicità sia l’unico modello culturale sensato?
«Bisognerebbe ricordarsi più spesso di un aforisma di Goethe, che dice più o
meno così: “Le discipline di autodistruggono in due modi, o per l’estensione
che assumono, o per l’eccessiva profondità in cui scendono”. Bisogna trovare un
equilibrio tra lo specialismo e la visione generale. La tendenza che si sta
affermando nei sistemi educativi un po’ in tutto il mondo, ma in particolare in
Italia è educare a “competenze” piuttosto che a “conoscenze”».
La
posizione di Settis è condivisa da molti. Ma una cosa è certa: la voce,
quando si parla controvento, quasi nessuno riesce a sentirla, e questo potrebbe
rivelarsi controproducente.