Per effetto degli algoritmi, elaborati a livello ministeriale, che
gestiscono la mobilità degli insegnanti su tutto il territorio nazionale, molti
docenti con grande probabilità saranno costretti a lasciare le proprie città, i
propri affetti, per insegnare altrove, e per il meridione d’Italia si prospetta
una desertificazione sociale ed economica senza precedenti. Questa probabile mobilità coatta da sud a nord ( nel 2015 chiamata deportazione ) coinvolgerà
un numero di docenti superiore rispetto a quello relativo al
novembre scorso, quando tali trasferimenti venivano etichettati mediaticamente
con il termine “ deportazioni “. A tutto questo oggi si deve aggiungere la
“chiamata diretta” indicata dal MIUR come chiamata per competenze, che l’Anac (
Autorità Nazionale Anti Corruzione) nelle sue linee guida su trasparenza e
anticorruzione inserisce nell’elenco dei “processi a maggior rischio corruttivo
per le istituzioni scolastiche”. A tal riguardo si vuole ricordare quanto detto
un anno fa dal Ministro Giannini sull’uso improprio del termine “deportazione “ (http://www.corriere.it/scuola/15_settembre_01/deportazioni-spostato-solo-insegnante-10-90741f70-506b-11e5-ad2e-795b691a3a45.shtml
): «Voglio stigmatizzare questa parola che riporta a ben altro: usiamo quella
giusta ovvero assunzione a tempo indeterminato ad un pubblico impiego. Può
capitare di spostarsi, ma la contropartita è la stabilità del posto. E su 102
mila assunzioni parliamo solo del 10, al massimo del 15% del totale, cioè
quello che è sempre stato anche negli anni passati, solo che prima erano
supplenti mentre ora avranno il posto fisso. E con la mobilità dopo tre anni
potranno spostarsi. Capisco le preoccupazioni, soprattutto per quanto riguarda
le donne che hanno una famiglia. Ma sinceramente non mi sento di martirizzare
questa situazione e parlare di “deportazione” è inaccettabile». Nelle prossime settimane, dati alla mano, si potrà valutare se questa probabilità sia destinata a divenire certezza.
Aldo Domenico Ficara