Alessandro D’Avenia raccoglie storie di scuola e le riunisce in una lettera la cui
risposta, dice il professore, spetta alla ministra dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca Valeria Fedeli.
“Gentilissima
Valeria Fedeli, ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, le
scrivo per farle presente alcune situazioni in cui versa la scuola italiana,
situazioni che immagino conoscerà molto bene. Nel suo discorso di insediamento
ha affermato che, a motivo della sua storia professionale e politica, si
sarebbe battuta per le pari opportunità. Spero quindi che le seguenti
testimonianze, ne ho scelte solo due tra le tantissime che ricevo in qualità di
insegnante e di scrittore, possano servire da ulteriore sprone per la sua
azione politica. La nostra Costituzione
stabilisce: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese».
«Caro professore, frequento la quinta
superiore, ma devo dirle che sono veramente stanca. La scuola mi ha delusa
profondamente! Sono stanca di andare a scuola per girarmi i pollici: molti dei
miei professori sono spesso assenti e purtroppo tantissime volte ci ritroviamo
in classe senza fare nulla … Sono ben due anni che le cose vanno così. Ogni
volta che torno a casa, mi sento demoralizzata e stanchissima. La mia
professoressa di italiano non ha voglia di fare nulla. In questi anni, abbiamo
saltato gran parte dei programmi. Adesso, a pochi mesi dalla maturità, siamo
davvero indietro e abbiamo svolto un solo tema durante tutto il primo
quadrimestre. Non ci sentiamo pronti! Il preside si è sempre disinteressato
delle nostre continue lamentele, ci ha definiti “polemici” e ha detto che dobbiamo
arrangiarci perché ha le mani legate. Ci sentiamo presi in giro … So bene che
posso studiare gli argomenti autonomamente, ma avere dei professori che
facciano il loro lavoro non è forse un mio diritto? Sono preoccupata per la
maturità e perché vorrei continuare gli studi, ma purtroppo a causa delle
numerose assenze dei miei insegnanti, ho diverse lacune. Non ce la faccio più,
vorrei solo imparare!».
«Caro
professore, io e la mia classe (frequento la quinta di un Istituto Tecnico)
siamo in lutto. Ci sta per essere tolto il nostro professore di inglese, uno
dei migliori insegnanti che abbia mai avuto. In tre mesi è riuscito a fare un
lavoro incredibile con la classe, appassionando alla materia anche chi per
l’inglese non è proprio portato. Ha cercato di far emergere le nostre qualità
attraverso lezioni coinvolgenti e vicine ai nostri interessi. In questi mesi ho
capito che l’inglese non è solo un insieme di regole grammaticali o di pagine
da studiare a memoria; ho capito che, se mi impegno, posso raggiungere buoni
risultati anche in questa materia. E non sono stata l’unica a migliorare.
Durante le lezioni tutti i miei compagni lo ascoltavano senza fiatare e anche i
più “turbolenti” della classe intervenivano nel corso della lezione. Pensandoci
bene, forse, quello che mi ricorderò per sempre sarà la grande fiducia che
questo professore ha avuto in noi, in ciascuno di noi. Purtroppo questa favola
pare essere giunta al termine. Un termine che si sapeva, che era stabilito da
uno di quei contratti che non tengono conto di noi alunni, che non tengono
conto della bravura di un insegnante che, stando così le cose, da domani
mattina si ritroverà disoccupato. Fa rabbia pensare che nella scuola ci siano
docenti che entrano in classe con venti minuti di ritardo e che passano il
resto della lezione a leggere svogliati un libro. E questi professori rimangono
ancorati alla loro cattedra nonostante tutto, nonostante si sappia del loro
comportamento. Il nostro insegnante di inglese, invece, per restare un altro
mese e mezzo, dovrebbe accettare di coprire un piccolo numero di ore che non
gli permetterebbero nemmeno di coprire i costi della benzina. Ci ha detto che
se fosse per lui, nonostante il discorso economico, sarebbe disposto a tenere
la nostra classe ma si creerebbe lo stesso problema a breve e avremmo
un’insegnante nuova a pochi mesi dalla Maturità. Inutile dire che tutti, un po’
egoisticamente, lo abbiamo pregato di rimanere perché un insegnante come lui,
in Italia, si incontra una volta nella vita ed è molto più prezioso di un voto
che sicuramente non rispecchierà il nostro impegno e le nostre conoscenze».
Il
contenuto di queste lettere denuncia lo stato dell’arte, ma anche le possibili
soluzioni. Non si tratta certo di una situazione generale, ma statisticamente
rilevante. Le famiglie a volte non reagiscono per stanchezza, a volte per
disinteresse, perché spesso neanche le autorità competenti agiscono, dal
momento che – come dice bene una delle due lettere – «hanno le mani legate».
Perché è così difficile creare un sistema virtuoso in cui possa insegnare chi
veramente svolge un servizio di qualità? Perché chi, per le ragioni più varie
che non voglio giudicare, non riesce o non vuole più insegnare, non è aiutato a
migliorarsi o a rivedere il suo percorso? Perché tantissimi Paesi ci riescono e
noi no? Inorridiamo di fronte a dipendenti pubblici che timbrano e poi sono
assenti. Perché a scuola non pretendiamo la stessa qualità che chiediamo agli
altri funzionari (espressione riduttiva per un insegnante, ma la uso per mantenere
il paragone) pubblici? Di esempi virtuosi, come quello del professore di
lingue, ce ne sono tantissimi e sono altrettanto rilevanti statisticamente, ma
perché non creare le condizioni per portare a sistema gli esempi virtuosi,
garantendo ai ragazzi la continuità didattica ed educativa? Queste sono domande
che riguardano la politica, perché in questo momento in alcune scuole italiane
si va contro i diritti dei cittadini; contro le pari opportunità dei docenti
sballottati da cattedre frammentate e spesso lontanissime dalle loro famiglie,
e non tutti possono permetterselo; contro la reale ed effettiva possibilità di
sviluppo di tutti gli studenti, e non solo di quelli che, per condizioni di
partenza più fortunate, possono risolvere autonomamente. Nell’agenda politica
attuale quasi nessuno parla di scuola, benché i diritti umani siano uno dei
temi più dibattuti al momento. Una persona con la sua storia professionale e
politica può fare molto, perché credo ancora, come lei, nel fatto che – in
democrazia – le cariche siano al servizio del bene dei cittadini. La ringrazio
per l’attenzione, non risponda a me, ma ai ragazzi. “
Di
seguito la lettera di risposta dalla ministra Valeria Fedeli:
“Care ragazze, cari ragazzi, delle vostre
lettere mi hanno colpito profondamente due sentimenti che esprimete: la
delusione e la fiducia. Voglio dirvi che la scuola che stiamo cercando di
realizzare per voi è esattamente quella che desiderate. Una scuola che sia
capace di trasmettervi nozioni e informazioni basilari per la vostra
formazione, e insieme vi proietti nel futuro, mettendovi in relazione con
diversi settori della società, orientandovi, facendovi acquisire consapevolezza
delle competenze che avete già e di quelle che dovrete potenziare, aiutandovi
nel vostro percorso per divenire cittadine e cittadini informati, consapevoli,
attivi.
Capirete
bene che il vostro apporto è indispensabile per riuscire a portare a segno
questo impegno. Siete voi il centro di questo lavoro. È con voi che vogliamo
confrontarci, è con le vostre famiglie, con le vostre insegnanti e i vostri
insegnanti, con le comunità scolastiche in cui vivete che vogliamo dialogare.
Vogliamo fare tesoro delle vostre esperienze per costruire una scuola – e con
questa una società – giusta, di pari opportunità e di uguaglianza nei diritti.
L’ascolto è e sarà cifra distintiva del nostro operato. Mi auguro che anche chi
verrà dopo di noi prosegua questo cammino, facendo di voi, nuove generazioni,
fulcro dell’azione di governo, fuori dai tira e molla politici che in passato
hanno prodotto danni a voi e al Paese. Ho fiducia che sarà così“.