I primi moti di contestazione degli studenti esplosero nell’autunno del 1967 e suscitarono grande sorpresa nell’opinione pubblica che non seppe spiegarsene il motivo. In realtà, come sempre nella Storia, le ragioni erano molteplici, su tutte l’aumento esponenziale dei frequentanti l’Università negli anni Sessanta. Negli USA si registrava “un aumento del 50% circa, e di poco meno in Europa (URSS compresa), con un dato complessivo d’incremento per la popolazione studentesca mondiale che superava lo stesso 50%”. Era giunta, negli Atenei, l’onda lunga della scolarizzazione di massa iniziata, un po’ ovunque, circa un decennio prima. Proprio nel 1957, in Italia, l’allora ministro democristiano Giuseppe Medici, legato agli ambienti confindustriali, pubblicava un’introduzione al Piano di sviluppo della scuola, in cui affermava la stretta relazione esistente tra sviluppo culturale e sviluppo produttivo di un Paese, in virtù della quale occorreva considerare l’investimento nell’istruzione come il più produttivo. Infatti, la maggiore crescita del reddito pro capite dall’unificazione non si era accompagnata a una crescita dell’istruzione; nel 1951 la cifra stimata di analfabeti era del 13%, la più alta nell’area del Mercato Comune, di contro al 3% della Francia. Il Piano dovette attendere molte Commissioni e molti anni per trovare la sua pratica attuazione, concludendosi, sostanzialmente, nel 1962, quando venne approvata la legge istituente la scuola media unica dell’obbligo. L’approvazione fu possibile grazie a un compromesso tra democristiani e socialisti in merito al latino: i primi volendolo conservare e i secondi abolire. Alla fine il latino rimase in II classe come integrazione all’italiano e in III come facoltativo, ma vincolante per chi intendesse accedere al liceo classico.
A metà degli anni Sessanta, grazie alla
diffusione della scolarizzazione di massa, si arrivò a identificare i giovani
con la categoria di studenti. Il loro bisogno di vivere insieme e il più
possibile fuori dal mondo famigliare favorì la nascita di numerose associazioni
all’interno delle scuole superiori e delle università, portò al fiorire di
giornalini d’istituto con cui i ragazzi volevano diffondere le loro idee su
temi d’attualità, come la guerra in Vietnam, l’apartheid in Sud Africa o
l’educazione sessuale, ma che furono sempre controllati e censurati dai presidi
e dalle autorità scolastiche. Il caso più famoso fu quello del giornalino “La
Zanzara” del Liceo Parini di Milano, che nel febbraio del 1966 pubblicò
un’inchiesta dal titolo “Che cosa pensano le ragazze d’oggi?” a seguito della
quale tre studenti, il preside e la tipografia furono incriminati per pubblicazione
di stampa oscena. La cultura “beat” degli anni Sessanta, basata sul rifiuto del
perbenismo, sulla critica alla famiglia, sulla rivolta all’autoritarismo, sul
desiderio di nuove forme di socializzazione, confluì tutta nel movimento del
Sessantotto. Il movimento che prese il nome da quell’anno, anche se i limiti
cronologici sono più sfumati, rappresentò l’incontro dei giovani con la
politica, una politica assunta come valore in sé, per il quale spendersi e
vivere nel quotidiano, insieme agli altri giovani e contro il mondo degli
adulti e tutto ciò che esso rappresentava. La rivolta del Sessantotto interessò
soprattutto il mondo della scuola, vista come uno spaccato di una società
autoritaria e antidemocratica, furono organizzate manifestazioni, occupazioni
di scuole e università, lezioni autogestite e collettivi studenteschi. Ma il
Sessantotto significò anche condanna alla guerra in Vietnam, lotta per i
diritti delle minoranze e soprattutto travolse la mentalità comune, il sentire
delle generazioni passate, le istituzioni tradizionali come la famiglia e
lasciò una società sicuramente più laica e antiautoritaria.
Uno degli elementi più interessanti che
emerge dalla ricostruzione del 68 è
l’abbassamento dell’età d’ingresso nella politica. Già i numeri parlano chiaro:
nell’anno scolastico 1967-1968 sciopera mezzo milione di studenti delle scuole
superiori, 20 mila occupano, 50 mila partecipano alle assemblee. L’anno
successivo queste cifre gonfiano a dismisura. Protestano i licei, a partire dal
Berchet di Milano nel gennaio 1968, seguito qualche mese dopo dal Parini e a
Roma dal Mamiani, ma anche gli istituti magistrali, tecnici e professionali, a
riprova del fatto che non si tratta di una protesta ad appannaggio della buona
borghesia. Inoltre, la storia ci dice come la protesta abbia coinvolto
indirettamente tutta la società: dai presidi, agli insegnanti, ai genitori. I
primi oscillano tra atteggiamenti repressivi e la tendenza maggioritaria –
esemplare il «caso Mattalia» a Milano – a evitare l’intervento poliziesco,
preferendo piuttosto coinvolgere le famiglie «che da questo momento diventano
una presenza stabile nelle scuole». Gli insegnanti invece sembrano più
disponibili a solidarizzare con i ragazzi, talvolta partecipano direttamente
alla protesta riflettendo così «le inquietudini di una categoria che è
diventata più precaria e sensibilmente più giovane». Il Pci è l’unico
partito che sostiene apertamente gli studenti, mentre il governo cerca di
contenere la protesta con alcune «concessioni». La più significativa è il
diritto all’assemblea di istituto, introdotto dal ministro Sullo insieme alla
riforma della maturità. Ma sono proprio questi successi a convincere il
movimento della propria forza e a rilanciare la lotta negli anni scolastici
successivi. Insomma, «a dispetto dei luoghi comuni», il ’68 ha inciso davvero
sulla trasformazione della scuola, aprendo la discussione degli anni successivi
sull’età dell’obbligo e sulla funzione pubblica dell’istruzione.
In conclusione la scuola e l’università
sono i punti cardine dei movimenti giovanili, i luoghi chiave in cui matura la
crescita di un impetuosa presa di coscienza, di un protagonismo di massa senza
precedenti; sui sistemi di istruzione europei e americani premono gli esiti
dello sviluppo economico postbellico: miglioramento delle condizioni di vita
delle classi subalterne, sviluppo demografico e urbanistico, impulso al
miglioramento professionale rispetto alla generazione uscita dalla guerra. Ma
dal mondo della scuola la protesta si allarga a macchia d’olio alle più diverse
istituzioni sociali: nel “Sessantotto lungo”, che specie in Italia prosegue ben
dentro gli anni Settanta, sono coinvolti e travolti il mondo della scienza, la
magistratura, fino alla chiesa cattolica (in alto e soprattutto in basso). Se
le rivendicazioni del “movimento” appaiono spesso confuse, e adottano stilemi e
culture politiche a volte obsolete, tuttavia la carica di rinnovamento democratico
che sta alla base investe anche le strutture più restie al cambiamento.
Allegato 1
Cronologia del '68 in Italia
Autunno 1967 - Gli studenti occupano le
università in molte città italiane, per protestare contro la riforma Gullo. In
particolare a Pisa, Torino (la prima occupazione di Palazzo Campana è del 1
febbraio), Trento, Venezia, Milano, si elaborano le linee di sviluppo e le
forme organizzative che caratterizzeranno la stagione del ’68: nasce il nuovo
“movimento studentesco”, che attraverso la forma assembleare mette in discussione
le forme tradizionali di rappresentanza del mondo studentesco in tutte le sue
componenti, da quelle che fanno riferimento al Pci a quelle cattoliche (Fuci).
Gennaio-Febbraio 1968 – Quasi tutte le
università italiane sono occupate, a Roma diversi scontri tra studenti di
sinistra e neofascisti; già nel 1966 vi era stata l’uccisione di uno studente
comunista, Paolo Rossi, alle origini della canzone di Paolo Pietrangeli Contessa.
1° Marzo 1968 – A Roma, di fronte alla
Facoltà di Architettura, la polizia carica pesantemente gli studenti, che reagiscono
con cartelli e bastoni
19 Aprile 1968 – A Valdagno gli operai
della Marzotto in sciopero si scontrano con la polizia e abbattono la statua
del fondatore della fabbrica: è il tramonto del vecchio modello paternalistico,
ancora molto diffuso in alcuni centri industriali.
18-19 Maggio 1968 – elezioni politiche
in Italia: l’avanzata del Pci è compensata dal buon risultato della Democrazia
Cristiana, mentre la secca sconfitta di Psi e Psdi (uniti) rende problematica
la ricostruzione dell’alleanza di centrosinistra. Fanfani guiderà per pochi
mesi un governo “di transizione”.
8-9 Giugno 1968 – Violente
manifestazioni a Milano, dopo lo sgombero dell’Università Statale occupata da
parte della polizia
2-6 Settembre 1968 – Rappresentanti
studenteschi da tutta Italia si incontrano a Venezia per rilanciare la protesta
nelle università: a ottobre riprenderanno ovunque assemblee, cortei,
occupazioni, mentre il movimento si allarga alle scuole medie superiori e
comincia ad interessare le fabbriche.
Novembre 1968 – Occupazioni e scontri
nelle università di Torino, Pisa, Bologna, Cagliari, Palermo Catania, Milano,
Venezia.
2 Dicembre 1968 – Ad Avola, in Sicilia,
la polizia spara sui braccianti in sciopero, uccidendone due; manifestazioni di
protesta dilagano in tutta Italia.
3 Dicembre 1968 – A Roma sfilano
trentamila studenti delle medie superiori, gridando slogan contro la selezione
e la dequalificazione della scuola
7 Dicembre 1968 – La serata inaugurale
della Scala di Milano, tradizionale appuntamento mondano, è contestata dagli
studenti (guidati da Mario Capanna), con lanci di uova sui lussuosi abiti
esibiti per l’occasione.
31 Dicembre 1968 – Contestatori e
polizia si scontrano davanti alla Bussola di Viareggio; il sedicenne Soriano
Ceccanti, ferito da colpi d’arma da fuoco, rimane paralizzato.
12 Dicembre '69 – Una bomba collocata
nella Banca Nazionale dell'agricoltura, in Piazza Fontana a Milano, uccide 15
persone e ne ferisce quasi cento. Per i movimenti è la “perdita
dell'innocenza”. Per l'Italia l'inizio della strategia della tensione e di una
scia di sangue che segnerà il decennio successivo.
Sitografia:
https://istitutostorico.com/i_movimenti_studenteschi
https://ilmanifesto.it/il-lungo-sessantotto-e-la-rete-politica-degli-studenti-medi/
https://www.itisrossi.edu.it/wp-content/uploads/2017/04/il-68-e-le-culture-giovanili.pdf