PARLIAMO DEGLI INSEGNANTI E DELLA SCUOLA: LA LIBERTA’ D’INSEGNAMENTO

 



Ciò che dovrebbe fare l’insegnante a scuola in gran parte è stabilito dall’amministrazione dello Stato attraverso i suoi ordinamenti;in gran parte ,perchè in democrazia qualche voce in capitolo dovrebbero averla genitori e alunni.In una parola non è lasciato al suo arbitrio ciò che va fatto.L ‘incidenza delle leggi e delle direttive ministeriali,però, se puo’ svilupparsi sui contenuti del curriculum ,non puo’ e non dovrebbe pesare sull’organizzazione dell’attività didattica,che appartiene alla responsabilità professionale dell’insegnante. L’amministrazione nell’esercizio dei suoi poteri deve rispettare i principi e i valori sanciti nelle norme costituzionali ,che dell’insegnante tutelano la libertà e la dignità.

Se non vuole ridursi ad un semplice operatore tecnico a cui ogni giorno vengono date le istruzioni per lavorare, l’insegnante deve farsi una propria idea di società, di scuola e d’insegnamento, coltivarla e confrontarla con le pratiche che gli vengono richieste. Solo su questo solido fondamento è possibile difendere il proprio diritto alla libertà di insegnamento. L’ insegnante deve sapere che la sua libertà a scuola è al riparo dalle ingiunzioni e dai tentativi che la vogliono limitare, se è vasta e indiscutibile la sua cultura e se la sua attività didattica è improntata ad una irreprensibile correttezza professionale e al rispetto dell’autonomia e della dignità dell’alunno. La società farebbe a meno degli insegnanti liberi, ma alla crescita dei giovani sono utili solo quelli intellettualmente autonomi. ”Nell’educazione l’autonomia è essenzialmente autonomia di decisione; è libertà di interpretazione; è capacità di pensare lontano; è prefigurazione di scenari che per quanto sbagliati possano essere ,lo saranno sempre di meno di quelli sollecitati da un senso comune incapace di progettualità educativa e subalterno a modelli di interpretazione del reale che rispondono a tutt’altre logiche”(B.Vertecchi)
Fatte salve le lacrime posticce che periodicamente si spargono sui magri stipendi degli insegnanti, in attesa della mitica equiparazione a quelli europei, il loro lavoro ,oggi, non gode il prestigio sociale di un tempo ed è fatto oggetto spesso di critiche immotivate da parte dei media, delle famiglie e della propria amministrazione, nonostante siano cresciuti la complessità dei loro compiti e il carico degli adempimenti. Eppure dovrebbe essere senso comune sapere che l’insegnamento solo con la collaborazione e col sostegno dei partner sociali e istituzionali puo’ dare frutti apprezzabili.
LA SFIDA DELL’EDUCABILITA’ DEGLI ALUNNI
Il lavoro dell’insegnante è messo a dura prova ,perchè deve svolgersi in ambienti di apprendimento che non hanno più i confini dello spazio-aula, perchè deve rivolgersi ad una popolazione scolastica sempre più multietnica e multiculturale e tenere presente la differenziazione dei bisogni educativi(famiglie disperse, migrazioni etc.) di una società in cui in modo non sempre lineare si auspica l’ampliamento del diritto all’istruzione e alla formazione .
Le sfide che si devono affrontare quotidianamente a scuola si riassumono in quella dell’educabilità di ogni alunno e quindi in quella del suo diritto/dovere ad apprendere. L’educabilità di ogni alunno è un criterio di orientamento a cui ogni docente dovrebbe ispirarsi per difendere a volte il suo insegnamento dalle ingiunzioni dell’amministrazione , che nonostante i suoi alti proclami pretende solo risultati ,molti dei quali indifferenti alla crescita di tutti gli alunni che gli vengono affidati.
Non è senza costi,però, lavorare per l’educabilità di tutti gli alunni e questo tra le tante cose significa togliere gli ostacoli al loro apprendimento, apprezzare i loro progressi nel profitto, non colpevolizzare i loro errori, ascoltarli ,ma anche metterli alla prova. Per mettere al centro dei processi formativi gli alunni bisogna battersi contro l’idolatria del risultato immediato; occorre togliere all’insegnamento certe pretese di stampo professionistico, che a volte rendono gli insegnanti insensibili alle richieste di confidenza, di aiuto e anche di affetto, perchè l’insegnante educa con il comportamento, non solo con le parole della sua disciplina. La gestione delle relazioni umane è cruciale per assicurare un buon clima interno alla classe e solo su questo necessario fondamento possono innestarsi con successo anche le pratiche didattiche che presentano un certo grado di difficoltà.
L’educazione dei giovani è una questione di incontri positivi :”quello del preside con gli insegnanti, quello degli insegnanti con gli alunni ,quello degli alunni con la cultura (Claude Lessard).Non è un processo direttivo di produzione dal sicuro effetto, dipendente soltanto da rapporto mezzi/fini. L’insegnamento è un incontro dove non è detto quello che PUO’ SUCCEDERE. Ragion per cui a scuola l’insegnante, che si sente responsabile di parte del futuro dei suoi alunni, deve farsi testimone di un’etica della sollecitudine e della necessità del dialogo e opporsi a qualsiasi suggestione che conduca al lavoro di scarto dei prodotti ritenuti difettosi . L’insegnante di qualità vuol vedere andare avanti tutta la classe e non ama predicare nel deserto.
L’insegnante ha la responsabilità di rendere intellegibile il sapere che deve trasmettere e di farlo amare, cercando di mettere in atto gli accorgimenti organizzativi e metodologici utili per diradare l’indifferenza degli alunni che puo’ crearsi intorno ad esso . Questo è il primo compito, perchè la scuola non ha senso, se viene privata o impoverita della funzione imprescindibile della trasmissione del patrimonio di cultura ,di tradizioni, di valori, di saperi e di tecniche alle nuove generazioni. Se viene occultata o sminuita la sua funzione conoscitiva. La storia non ricomincia ogni volta da zero; continua e continua per l’azione di conservazione e di trasmissione svolta dalla scuola attraverso i suoi insegnanti.
LA SCUOLA COME ISTITUZIONE COLLETTIVA
Ad una scuola che si preoccupa dell’educabilità di ogni alunno e non vuole creare scarti si propone come strategia adeguata la personalizzazione e/o l’individualizzazione dei percorsi; una scuola su misura si sarebbe detto in altri tempi. Ci sono tante e reali difficoltà per mettere in atto un modello simile e solo la modularizzazione del curriculum potrebbe essere una soluzione adeguata. Di fatto se questo dovesse essere il solo rimedio per evitare di creare scarti, la scuola diventerebbe il luogo della giustapposizione di trattamenti individuali e non avrebbe più alcun carattere di istituzione collettiva; non sarebbe più capace, nell’età che hanno gli alunni che la frequentano ,di educarli alla convivenza stabile con un proprio gruppo di riferimento. La scuola diventerebbe una struttura nelle modalità e nelle pratiche simile ad una casa di cura più che ad un luogo di istruzione e formazione, dove si impara a crescere insieme. Credo che sfugga a tanti come in questo modo la scuola diventerebbe omologa ad una società che non vuole legami comunitari; ad una società che non vuole essere comunità.
I giovani in classe non hanno bisogno di essere diversificati per curriculum, ma di essere accettati e compresi nella propria diversa identità, nella propria storia personale, nella propria provenienza sociale, religiosa ed etnica. Hanno bisogno di una pedagogia dell’aiuto reciproco, della cooperazione. Hanno bisogno di essere migliori di se stessi ,non migliori degli altri. La verità è che c’è la classe e c’è l’insegnante e non l’insegnante e ogni singolo alunno. L’insegnante deve potere parlare ad ognuno dei suoi alunni, pur indirizzandosi a tutti. E’ difficile ,non impossibile.
LA DIMENSIONE ETICO-PEDAGOGICA
Con i ragionamenti svolti si è inteso proporre un appello alla dimensione etico-pedagogica del lavoro dell’insegnante .Nell’insegnamento c’è una vocazione intrinseca all’umanità che non si puo’ trascurare, nè scambiare come un semplice ed eventuale aspetto della professionalità docente. E tutto questo senza prescindere dalle contraddizioni che abitano il lavoro dell’insegnante e dalle sue estese condizioni reali di disagio e di precarietà professionale. Con quello che si è detto si tende , con i mezzi a disposizione , a dare risalto e dignità civica e valore alle scelte professionali dell’insegnante che lo potrebbero sottrarre all’umiliazione quotidiana ,con la quale si vuole farne un esecutore servizievole di un’organizzazione ,che nell’iper-attivismo nasconde la perdita di senso dell’insegnamento. Si prova a fare scendere l’insegnante dalla gioiosa macchina delle educazioni per cercare il senso autentico dell’educazione. Non si è proposto ,però, un invito alla solitudine ,a disdegnare le giuste alleanze tra i colleghi ,senza le quali sarebbe difficile fare della scuola il vero luogo dell’autonomia: quella intellettuale e morale .

RAIMONDO GIUNTA